O’CASEY, Sean

Nato nel 1880 da famiglia protestante nella zona più povera di Dublino, Sean O’Casey ebbe un’infanzia segnata da povertà, malattia, e problemi della vista. Una malattia cronica agli occhi lo costrinse infatti a rimanere lontano da scuola per potersi curare, ma la passione per la cultura e l’apprendimento non lo abbandoneranno mai. Sin da giovane si dedicò alla lettura dei classici e della Bibbia, e all’età di 84 anni seguiva ancora alla radio i programmi educativi della BBC.

La flebile vista lo tormentò tutta la vita, con la crescente minaccia della cecità totale. Era quasi cieco all’occhio sinistro, a causa di un’ulcerazione della cornea, e il sovraccarico di lavoro a cui costringeva l’occhio destro creava dei problemi anche a questo. Svariate volte al giorno doveva farsi delle spugnature agli occhi con acqua quanto più possibile calda per poter alleviare quella condizione che ostacolava gravemente la sua capacità visiva.

Sean O’Casey era un idealista, ed il suo forte senso della giustizia ha permeato tutta la sua vita e la sua opera. Da giovane fu coinvolto nel fervore della Lega Gaelica e nel movimento del teatro amatoriale. Sosteneva di aver trovato la sua “fede” negli ideali socialisti della crociata di Jim Larkin a favore selle classi operaie irlandesi. (Ricordiamo che lo sciopero generale del 1913 dette il via alle prime richieste per la liberazione dell’Irlanda)Aveva da poco passato i quarant’anni, e continuava a mantenersi col suo lavoro di operaio, quando contribuì al Movimento drammatico irlandese sorto attorno all’Abbey Theatre con una trilogia: IL FALSO REPUBBLICANO (1923), GIUNONE E IL PAVONE (1924) e L’ARATRO E LE STELLE (1926) – in cui per la prima volta figurano come protagonisti i proletari dublinesi anzich‚ i pittoreschi contadini e stagnari di una campagna irlandese un po’ mitica e idealizzata.

Queste commedie provocarono feroci dissensi soprattutto a causa del costante rifiuto di O’Casey di glorificare la violenza del movimento nazionalista. O’Casey, infatti, prendeva in giro gli eroismi dei guerrafondai, e presentava il tema che i morti fra la gente innocente erano assolutamente più numerosi degli eroi morti.
Frank O’Connor, nella sua BREVE STORIA DELLA LETTERATURA IRLANDESE sostiene che ciò che unifica queste tre commedie e le separa dalle opere seguenti è “l’amaro riconoscimento che mentre gli uomini sognano, bevono, parlano a vanvera, si camuffano e simulano, alcune donne con altrettanto cervello e con una laboriosità infinitamente maggiore si sacrificano per evitare che la tenue fiammella della vita umana si estingua.”

Nelle sue opere seguenti, O’Casey sperimenta stili e tecniche dell’espressionismo e del simbolismo, e già nella TAZZA D’ARGENTO (1928) la denuncia dell’assurdità della guerra e della retorica di cui questa si alimenta trovava voce in un marcato lirismo che rimarrà una costante del suo teatro anche negli anni a venire. Il contenuto di questa commedia, più che la sua forma, provocò la definitiva rottura fra O’Casey e l’Abbey Theatre, arroccato ormai – come teatro nazionale – su posizioni più caute e conformiste.
O’Casey lasciò l’Irlanda, ma al suo paese continuò a dedicare le sue opere: in esse un’ideologia evangelica (o, se si vuole, marxista – se si tiene presente che egli dichiarava che: “Ogni uomo che sia onesto e dia tutto quanto può alla comunità è un Comunista.” e non per niente annoverava fra i Comunisti anche Gesù Cristo) sorreggeva l’analisi della situazione irlandese, avvertita soprattutto come drammatico contrasto tra la gioia di vivere del popolo e la grettezza oppressiva delle classi dirigenti, portatrici di un conformismo reazionario e bigotto.

Nessuna di queste commedie raggiunse il successo dei suoi primi lavori. Ci piace però ricordare: POLVERE DI PORPORA (1940), ROSE ROSSE PER ME (1942), IL BEL CHICCHIRICHI’ (1949) e IL FALO’ DEL VESCOVO (1955).
Ma gli scritti migliori di O’Casey, dopo il suo volontario esilio dall’Irlanda, sono i sei volumi della sua autobiografia, scritti con stile sfavillante e soggettivo ma con la voce di una terza persona, chiamata Johnny Casside.
In questi ultimi anni vediamo una grande rivalutazione dell’opera di questo autore: pensiamo anche soltanto al bellissimo GIUNONE E IL PAVONE messo in scena recentemente al Donmar Warehouse di Londra. Inoltre, la Faber&Faber ha pubblicato in due volumi le commedie di O’Casey, con un’introduzione di Seamus Heaney per il primo volume, ed una di Arthur Miller per il secondo.

HANNO SCRITTO DI LUI:
“C’è una drammaturgia che emerge da profondità inesplorate e viene a spazzar via i graziosi sforzi piccoloborghesi miei e dei miei contemporanei.” (George Bernard Shaw in una lettera a Charles B. Cochran, 1928)
“Potessi io scrivere così!” (Eugene O’Neill in una lettera a O’Casey)
“Dal mio punto di vista giovanile, partigiano quanto vi pare, l’unica certa coscienza democratica era quella di O’Casey, un raggio di luce che perforava le tenebre davanti a noi alla ricerca di un sistema di governo umano.” (Arthur Miller, dalla sua prefazione del 1998 alle opere di O’Casey)
“Ciò che è stupefacente nei capolavori di O’Casey quali GIUNONE E IL PAVONE e L’ARATRO E LE STELLE, oltre alla ricchezza e al dispendio di umanità, è la loro capacità – per dirla con la memorabile frase di Shakespeare – “di muovere a un riso selvaggio nella gola della morte.” Questi due testi sono stati descritti dal loro autore come tragedie, in ambedue vengono rappresentati delitti efferati, eppure si percepisce all’opera uno straordinario spirito comico. (Daily Telegraph)

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