L’ultimo capitolo della saga cinematografica di James Bond in cui Daniel Craig ha interpretato il ruolo per l’ultima volta, è uscita nel 2021. Da allora si è molto speculato su chi lo avrebbe sostituito e quando avremmo visto il ventiseiesimo film prodotto dalla Eon. La famiglia del produttore originale detiene ancora il controllo creativo, anche se i film sono stati acquisiti da Amazon con l’acquisto della MGM Studios. Da qui nasce la nuova pièce di Jordan Waller, A Role To Die For, anche se l’autore ci tiene a precisare che i personaggi sono “legalmente distinti da Barbara Broccoli, dalla sua persona, dal suo team e dalla sua famiglia, che non ho mai incontrato”. E ci invita a immaginare di assistere a un processo di casting in un’altra dimensione del ‘Bond Multiverso.
Il testo attinge alla dimensione a noi familiare fin dall’inizio: la musica iconica, cinque ritratti dei precedenti Bond e un riflettore a forma di foro di proiettile che attraversa il palco. Durante la commedia, affiorano battute che sembrano echeggiare dai film passati, suscitando ricordi nostalgici di scene e protagonisti. Quando si vuole “scaricare” un attore, si suggerisce semplicemente di “fargli fare la fine di Lazenby”.
Ciò che, però, rende interessante e attuale questo spettacolo è il fatto che affronta due temi centrali nella sfida delle saghe cinematografiche di lunga durata: si tratta di creatività e innovazione, della tutela del marchio e della sua eredità o di puro e semplice business, ossia fare più soldi possibile? Ed è davvero possibile conciliare tutti e tre questi aspetti? In questo contesto, il secondo tema che la pièce esplora naturalmente è la reputazione di Bond come seduttore misogino e assassino bianco a fronte delle moderne tendenze di casting, orientate alla diversità e all’inclusione.
La decisione su come conciliare questi dilemmi è nelle mani di Deborah, titolare dei diritti creativi e produttrice. Al suo fianco c’è Malcolm, definito a un certo punto un “vecchio titubante”, ossessionato dal suo algoritmo che valuta l’appeal del pubblico verso i vari attori. Il terzo punto di vista è rappresentato dal figlio di Deborah, Quinn, che lei vorrebbe promuovere a produttore a tutti gli effetti regalandogli simbolicamente il Rolex Submariner del 1954 appartenuto al nonno (e attirandosi così la critica di essere una “nepotista”) e che desidera modernizzare l’appeal del personaggio attraverso la scelta dell’attore.
Quando il nuovo Bond designato viene “cancellato” il giorno prima dell’annuncio ufficiale a causa di accuse di molestie, scatta la corsa per trovare il nuovo James Bond. Due candidati sono disponibili: Theo, un attore nero, ben educato, laureato a Cambridge, con casa a Monaco, che supera brillantemente lo screen test; e Richard, che invece ottiene un punteggio migliore nell’algoritmo.
Il tema centrale di A Role To Die For di Jordan Waller appare attuale per qualsiasi casting di TV, teatro e cinema nel XXI secolo, specialmente in un’epoca di forte scrutinio sui social media e fenomeni di trolling. Conta davvero il passato, la razza o la sessualità di un attore, se è in grado di interpretare il ruolo in maniera convincente? Come dice un personaggio: “se vuoi diventare una star, certe cose è meglio che restino nell’ombra”, come avveniva nell’epoca d’oro del cinema. Ma oggi, quando un interprete affronta un “ruolo per cui morire”, letteralmente in questo caso, indossando i panni di qualcun altro, come può sfuggire al giudizio e alle fazioni social pronte a minare e distruggere reputazioni? Vogliamo che la nostra comunità creativa produca sempre secondo la formula più commerciale, o che osi correre dei rischi, seguendo l’istinto e innovando?
Come dice James Bond in Skyfall, “mi piace fare certe cose alla vecchia maniera” e, per parafrasare, una buona pièce dovrebbe lasciarti “scosso” E “agitato”. A Role To Die For lascia scossi dalle risate e agitati dalle riflessioni. E con una gran voglia di vedere il prossimo film di James Bond, chiunque sarà ad indossare quel celebre smoking!
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