Scritta da Jean Genet tra il 1955 e il 1961, I paraventi è uno dei testi più complessi e potenti di Genet: una tragedia moderna che distrugge le regole del teatro borghese e lo trasforma in un rito politico e poetico senza compromessi. È un testo monumentale, provocatorio, frammentato e visionario, che ha suscitato scandali e polemiche sin dalla sua prima rappresentazione.

La storia, ambientata durante la guerra d’Algeria, ma volutamente trasfigurata e allegorica, ruota attorno alla figura di Said, un giovane arabo povero e opportunista, e della sua vecchia e volgare moglie Leila. La loro parabola personale – fatta di umiliazioni, ambizioni, tradimenti e sopravvivenza – si intreccia con una moltitudine di altri personaggi: madri piangenti, soldati coloniali, ufficiali francesi corrotti, spettri di morti, e figure grottesche o simboliche, che rappresentano le varie facce della guerra, del colonialismo, del potere e dell’identità.

Il testo non segue una narrazione lineare. Piuttosto, è un collage di scene, parabole, sogni, interruzioni e visioni, spesso rappresentate dietro o tra paraventi mobili (da cui il titolo), che isolano o celano i personaggi, trasformando la scena in uno spazio fluido e onirico. I morti dialogano con i vivi, la cronaca storica si fonde con il mito, il linguaggio oscilla tra lirismo e brutalità.

Genet non prende una posizione netta: non è un’opera anticolonialista in senso diretto, ma una riflessione profonda e disturbante sul disordine, la morte, la decadenza morale e l’ambiguità del potere. La guerra d’Algeria, pur essendo il contesto implicito, è trattata come simbolo universale di tutte le guerre e di tutte le occupazioni.

Alla sua prima rappresentazione nel 1966, I paraventi fu accolto con proteste violente e accuse di blasfemia e antipatriottismo, soprattutto da parte della destra francese. Genet aveva costruito un’opera volutamente indecifrabile, ironica e irriverente, lontana da ogni morale rassicurante.

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Genet, Jean

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