Il mito di John Barrymore torna con questo testo di William Luce, ambientato nel 1942, poco prima della morte del grande attore, puro esempio di genio e sregolatezza, in un teatrino dove la star tenta di ripassare la parte del “Riccardo III” di Shakespeare per poterne riproporre la sua interpretazione a più di venti anni di distanza dalla sua prima, storica, interpretazione.
Barrymore viene però sopraffatto dai ricordi, dalle emozioni (e dell’alcool) e ripercorre, tra rimpianto e aneddoti, alcuni episodi della sua vita – mentre echi di battute shakespeariane riaffiorano qua e là, in questo gioco emozionante che spazia dal riso al pianto.
John Barrymore era già l’attore più popolare d’America, quando decise di cimentarsi con Shakespeare. Correva l’anno 1920, John aveva 38 anni, ed era il fratello minore di Ethel e Lionel Barrymore – tutti e tre eredi di una dinastia attoriale, che non per niente è conosciuta come la Royal Family delle scene.
Alle spalle di John Barrymore c’erano già numerosi successi e qualche fiasco – alcuni ruoli di nessuno spessore, altre interpretazioni indubbiamente meritevoli – più un certo numero di film muti. Barrymore era un idolo, l’immagine perfetta dell’attore romantico, di belle proporzioni, splendido profilo, con lo sguardo fiammeggiante ed una colorita reputazione di sregolatezze. Pubblico e critica furono perciò colti di sorpresa quando questa quintessenza di prim’attore si presentò sulla scena del Plymouth Theatre nelle vesti del contorto e perfido Riccardo Terzo.
Dopo Riccardo, John Barrymore doveva ancora cimentarsi con l’Amleto, in un’interpretazione che venne considerata la migliore del secolo.
Dopo Amleto, la carriera di John Barrymore cominciò la sua parabola discendente: seguirono alcune belle interpretazioni cinematografiche, ma l’alcool e il suo comportamento falstaffiano nella vita di tutti i giorni arrivarono quasi a cancellare la memoria del suo splendore d’attore.
C’è anche da dire che il business teatrale non tollerava più le sregolatezze e i vizi che avevano reso possibile il genio di Jack: con lui finiva l’epoca degli attori “maledetti” e del talento irrefrenabile.
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