Panama City, 1989. Caduta del Generale Noriega.
Noriega è intrappolato nella nunziatura papale in cerca di santuario durante l’invasione americana di Panama.
Suo unico compagno è il rappresentante del Vaticano, l’arcivescovo Josè Laboa.
I due uomini si fronteggiano in un gioco del gatto col topo, che consiste in una serie di accuse e contraccuse feroci. Il generale cerca l’aiuto del prelato per ottenere un salvacondotto per una nazione che gli offra asilo politico senza che vi sia il rischio dell’estradizione. L’arcivescovo non è disposto a prestarsi a tanto per un demonio come il generale.
Ma Noriega respinge l’accusa di essere un Satana vivente e dimostra anzi come, essendo stato reclutato dalla CIA negli anni ’60, egli non è stato altro che uno strumento della politica estera americana – prima di diventarne l’ultima vittima. All’accusa di avere reso il suo paese una centrale del traffico di droga, il generale risponde che il suo metodo Latino-Americano per ripulire e riciclare il denaro era sancito ed approvato da Washington e che il capitalismo occidentale è sempre dipeso dai narcotici.
Persino l’arcivescovo alla fine dovrà concedere al Generale: “Tu, e la tua generazione di dittatori di latta avete torturato e terrorizzato per conto nostro.”
L’ipocrisia degli Stati Uniti viene certo svelata in pieno, ma senza mai, neanche per un momento, attenuare quanto di male commesso da Noriega.
L’opinione di Freed è chiaramente la stessa di Noam Chomsky, che ha più di una volta dichiarato che esistono preoccupanti equivalenti fra la cattura e il processo a Noriega e quelli a Saddam Hussein per crimini originariamente approvati e sostenuti dal governo americano.
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